lunedì 28 gennaio 2008

RITRATTO DI UN CAMPIONE: HIGUITA

Higuita è nato su una nave della Tirrenia nel lontano 1970. Figlio illegittimo di un Capitano di Vascello e di una scialuppa di salvataggio, venne battezzato con il nome di Nomentana. La sua vicenda ha ispirato il film “La leggenda del pianista sull’oceano” e la famosa canzone di Dalla e De Gregori “Ma come fanno i marinai”.
Oggi, dopo essersi rifatto una vita e aver cambiato il proprio nome appunto in Higuita, riveste il ruolo di estremo difensore della SAMA JCHNUSA.
E’ un portiere di notevole esperienza, dotato di grandi capacità acrobatiche e in questa stagione, la terza a difesa della porta rossoblu, sta vivendo forse il miglior momento di forma dell’intera carriera: lo scorso 19 gennaio infatti ha addirittura compiuto una parata!
La vita del bambino Nomentana non fu affatto facile. Figlio del peccato, venne tenuto nascosto a bordo della carretta del mare dalla quale prese il nome, diventando comunque la mascotte dei marinai che erano soliti lanciarlo da un ponte all’altro per farlo divertire. Tutto ciò però poteva avvenire solo di nascosto in quanto suo padre, un uomo tutto d’un pezzo con due baffoni enormi e la pipa sempre accesa all’angolo della bocca, era molto severo e mal tollerava l’idea che quel bambino indesiderato potesse giocare e divertirsi.
Ma Nomentana un giorno si innamorò.
Si innamorò di una palla che divenne la sua compagna di giochi durante le lunghe traversate da Porto Torres a Genova e viceversa. Fino alla notte in cui avvenne l’irreparabile: suo padre lo sorprese sul ponte a giocare. Con voce autoritaria lo chiamo a sé: “Nomentana, vieni qua immediatamente”, -gli intimò minaccioso-. Il bambino smise di giocare, prese la palla tra le mani e, a capo chino, si diresse verso il babbo-orco. “Cosa c’è, babbino?” –chiese intimorito-. “Lo sai che non voglio vederti giocare, devi diventare un uomo tutto d’un pezzo come me” –disse suo babbo- “ora dammi quella palla, te la sequestro e non la vedrai mai più”.
Disperato al solo pensiero di non vedere mai più la sua amata palla, Nomentana prese la prima difficile decisione della sua vita: dopo averla sollevata in aria, la colpì con un calcione, il più forte che potesse dare, e la scagliò lontano, in mare aperto, sacrificandola piuttosto che vederla nelle mani di quell’uomo dispettoso. Questo episodio apparentemente poco significativo segnò irrimediabilmente la già labile psiche del bambino Nomentana. Da allora, infatti, tutte le volte che il nostro eroe si sente minacciato da qualcosa o da qualcuno, è solito prendere la prima palla che gli capita a tiro e scagliarla via, il più lontano possibile.
A metà degli anni ottanta, già adolescente, capitò l’occasione giusta che cambiò la vita di Nomentana. Due scafisti specializzati nel contrabbando di persone, tali Starscky e Acch, proposero al ragazzino una fuga verso le coste del Sud America per la modica cifra di unmilionesettecentocinquantatremila lire; raccattati in fretta e furia gli spiccioli necessari alla fuga, Nomentana salì sul gommone dei suoi salvatori e partì in cerca di fortuna.
Venne abbandonato lungo le coste del Venezuela e da lì, tipete tipete, passo dopo passo, raggiunse a piedi la Colombia dove, si diceva, sarebbe stato facile trovare un lavoro e coltivare la sua mai sopita passione, il calcio. Trovò lavoro in una fabbrica in cui veniva confezionato sale fino (o almeno così gli spiegarono), fino al giorno in cui avvenne il secondo fortunato incontro della sua vita. Conobbe un italiano emigrato un paio di anni prima in sella al suo motorino, un Sì della Piaggio. Era un tipo magro, capelli corti, barbetta curata appena accennata, che girava in Mercedes, vendeva pompe di calore e si spacciava per allenatore di calcio. Incontrò Nomentana e gli disse: ”salve ragazzo, so che sei un grande appassionato di calcio”; “è vero”,- rispose timido Nomentana- “è sempre stato il mio grande amore”. “Bene “- replicò lo sconosciuto- “allora è meglio che ci presentiamo. Io mi chiamo Trombalavecchia, e tu?” “Nomentana, signore. Nomentana, come la nave”.”Già il nome non va bene”- impose Trombalavecchia- “se vuoi diventare un grande calciatore dobbiamo trovare un nome adatto, che la gente possa ricordare facilmente; ecco, ad esempio a me piacerebbe chiamarti HIGUITO”. “Higuito non mi sembra un bel nome”- disse Nomentana- “e poi mi piacerebbe un nome che finisca con la A. Tutti i nomi di navi finiscono con la A: Aurelia, Clodia, Nomentana….”
“Va bene ragazzo”- replicò esausto Trombalavecchia- “allora ti chiamerai HIGUITA e, visto che mi sembri scemo al punto giusto, farò di te un grande portiere”.

Fu così che iniziò la brillante carriera di Higuita, che oggi, indiscusso portiere della SAMA JCHNUSA, può finalmente lasciarsi alle spalle i brutti ricordi dell’infanzia e godersi gli onori e la fama che merita.
Mi è sembrato perciò giusto incontrarlo e fargli raccontare di persona quali siano i suoi pensieri, le sue passioni, i suoi ricordi.
Higuita arriva all’appuntamento fissato per l’intervista con dieci minuti di ritardo, come suo solito. Scende dalla macchina, le mani affondate nelle tasche del giubbotto, la testa incassata fra le spalle per proteggersi dal freddo pungente di Canighello, e si dirige verso di me.
“Buonasera Higuita”, -lo saluto-.
“Ebbèh”- risponde lui senza togliere le mani dalle tasche -.
I: “Allora, possiamo iniziare con le domande. Dall’Italia alla Colombia e viceversa: chi è stato l’artefice del suo ritorno?”
H: ”Il merito è tutto del nostro Direttore Sportivo Uanlò che è venuto fino in Colombia per contattarmi.”
I: “Chi gli ha parlato di lei?”
H: “Guardi questo è un mistero, ma io ho un sospetto. Colui che in Colombia mi scoprì, quel tale Trombalavecchia, più ci penso e più mi sembra straordinariamente somigliante al nostro attuale allenatore, Mister Masticamastica. Potrebbe essere stato lui a mettere Uanlò sulle mie tracce.”
I: “Vuole dire che Mister Guardalatalpa e Trombalavecchia sono la stessa persona? E com’è possibile?”
H: “Del nostro Mister ormai non mi stupisce più niente. Se riesce a vincere le partite con Vissani in campo, potrebbe tranquillamente avere anche il dono dell’ubiquità. Fra le due cose, la prima mi sembra il vero miracolo.”
I: “Parliamo del suo viaggio d’andata in Colombia. E’ vero che lo fece in gommone?”
H: “Si, e non è un bel ricordo. Mi accompagnarono due delinquenti, Starscky e Acch; mi chiesero unmilionesettecentocinquantatremila lire promettendomi che mi avrebbero spedito la fattura, che avrei potuto scaricare l’Iva, avrei potuto detrarre l’intero importo dalla denuncia dei redditi, ma non vidi mai alcun documento fiscale. Due veri farabutti”.
I: “Il viaggio di ritorno è invece stato ben più confortevole.”
H: “Certo, l’organizzazione della SAMA JCHNUSA è ben altra cosa. Uanlò si rivolse ad una agenzia di viaggi molto seria, nella quale lavorava una graziosa fanciulla della quale poi……”
I: “Della quale poi?”
H: “Beh si, insomma, della quale poi…. Non so se posso dirlo, non vorrei mettere in piazza i miei segreti.”
I: “Vuole forse dubitare della mia discrezione e professionalità? Non sono mica un giornalista di Novella 2000!”
H: ”…della quale poi mi innamorai e diventò la mia fidanzata. Glielo dico, tanto so che resterà fra noi.”
I: “Tranquillo, non lo saprà nessuno….E le sue passioni, invece? Che hobby ha l’Higuita uomo?”
H: “Sono un grande appassionato di musica italiana, il mio cantante preferito è Ramazzotti.”
I: “C’è un momento particolare della giornata in cui preferisce ascoltarlo?”
H: “Si, dopo cena…...”
I: “Un’ultima cosa: lei è direttore della testata giornalistica sportiva della SAMA JCHNUSA, chi è stato ad affidarle questo incarico?”
H: “L’idea è stata sempre del nostro impareggiabile Uanlò, e non potrebbe essere diversamente visto che lui di testate se ne intende.”
I: “E come mai è stato scelto proprio lei?”
H: “Mi disse che aveva bisogno di una persona seria, di uno che, insomma, fosse sano di mente, cosa non facile fra i componenti della Sama; così scelse me che, del resto, non ho mai dato segni di pazzia”
I: “Già, proprio vero, lei è certamente una persona perbene. Grazie per l’intervista, signor Higuita, e arrivederci.”

Così ci salutiamo e Higuita, sempre con le mani affondate nelle tasche del giubbotto e la testa incassata nelle spalle per proteggersi dal freddo, si dirige verso la sua macchina. Non posso fare a meno di pensare a quest’uomo così serio e garbato, l’esatto contrario di come me lo avevano descritto: si diceva che fosse un pò pazzo, che addirittura la sua testa ospitasse un vermiciattolo che era solito nutrirsi dei neuroni del suo cervello, invece niente di tutto ciò. Proprio una persona come si deve.
Sollevo lo sguardo, e lo vedo camminare con un’andatura irregolare; “Higuita” - lo chiamo – “ma lei zoppica. Che le è successo, si è fatto male in allenamento?”
“No, è che non riesco proprio ad abituarmi a queste scarpe nuove” risponde lui gentilmente, sollevando i pantaloni e mostrandomi i piedi.
Rimango sbalordito nel vedere che indossa un paio di scarpe da donna con vertiginoso tacco di dodici centimetri!
Lo sapevo che un portiere, per giunta della SAMA JCHNUSA, non poteva essere del tutto normale……